Questo numero della Rivista si chiude il 19 luglio. Non è una semplice coincidenza perché quando si parla di antimafia sociale i simboli non sono mai slegati dai gesti. Trent’anni. Il tempo che ci separa dalla strage di Via D’Amelio. Ancora senza verità e giustizia. A Palermo, in una via popolata senza alcuna protezione, muoiono Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Unico sopravvissuto Antonino Vullo. 57 giorni dopo Capaci e le morti di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo, unici sopravvisuti Angelo Corbo e Antonio Vullo. Una ferita collettiva non una tragedia personale, ci ricorda Fiammetta, la figlia di Paolo. Un punto di non ritorno. In quei giorni, probabilmente, è nata l’antimafia sociale così come la conosciamo adesso, fatta della reazione di tanti cittadini onesti che hanno deciso di non essere più indifferenti, semplici tifosi dagli spalti. Cittadini che hanno scelto di scendere in campo, giocare la partita, indossando un’unica divisa a differenza di chi, in quegli anni, ha preferito vestire contemporaneamente due casacche.
«Solo il racconto dei margini e dei frammenti permette di aprire uno squarcio e di comprendere qualcosa. Comprendere come si intersecano tra loro cose vecchie e cose nuove» (Alessandro Leogrande)